La mia partita a scacchi con il tumore al pancreas
20 Dicembre 2019 • Redazione
Francesca Pesce, 54 anni, traduttrice freelance, mamma di un ragazzo di 16 anni, donna effervescente, in alcuni momenti dalla personalità debordante, impegnata nell’associazionismo, due anni fa scopre di avere un tumore del pancreas e di essere portatrice di una mutazione nativa BRCA2. Il suo atteggiamento positivo e non fatalista rispetto ad una patologia tra le più complesse le consentono di superare ostacoli e situazioni non previste o non prevedibili trovando alcune soluzioni più adeguate al suo stato di salute.
Come hai scoperto di avere un tumore al pancreas?
A Gennaio 2017 ho iniziato ad avere dolori, leggeri, irregolari, allo stomaco, sotto al seno, ai reni, mai nello stesso posto. Mai forti da allarmare. Mai al punto di costringermi a prendere un antidolorifico. Durati poco più di un mese, sono scomparsi.
A Maggio 2017 ho cambiato medico di famiglia, e la nuova medica, Francesca Stampi, mi ha prescritto analisi del sangue generali dalle quali è emersa una glicemia piuttosto elevata. Ovviamente mi ha quindi invitato a impegnarmi per 1-2 mesi a cambiare stile di vita, fare attività fisica e andare da un nutrizionista, prima di bussare alle porte del diabetologo. Così ho fatto. In tre mesi ho perso 12 kg, ero in sovrappeso, ma la glicemia è rimasta alta.
A fine Agosto 2017 sono ricominciati i dolori, di cui ho parlato con il nutrizionista; abbiamo ridotto i legumi, ma non è cambiato molto.
A metà Ottobre 2017, finalmente, mi decido a parlare con il mio medico di base dei miei dolori, mi visita e decide di prenotarmi una ecografia urgente. L’ecografista della ASL, molto carina, continua a ripassare sullo stesso punto più e più volte e con lo sguardo che si fa sempre più dispiaciuto, alla fine mi dice: “Hai qualcosa al pancreas. Devi fare una TC urgentemente”.
Qual è stata la diagnosi e come ti è stata comunicata?
La diagnosi mi è stata comunicata gradualmente da più persone, ognuno a modo suo.
A fine Ottobre 2017, due giorni dopo l’ecografia, finita la TAC all’ospedale Nuovo Regina Margherita, il simpatico primario di radiologia mi dice che ho un problema al pancreas (forse mi ha parlato di tumore, ma non ricordo), ma che il resto è tutto pulito, in via eccezionale il referto sarebbe stato pronto in 48 ore. Mi congeda con un “Si trovi un chirurgo”.
Nel pomeriggio inizio a telefonare, per capire dove si trovano i chirurghi … . Un amico medico mi spiega che occorre prendere appuntamento in intramoenia con un chirurgo, il quale poi ti inserisce nella lista delle persone da operare nell’ambito del SSN. Nella mia ingenuità mi pare una follia. Un’altra mi dice di non farmi toccare il pancreas da nessuno a Roma perché non c’è nessun chirurgo esperto di pancreas nel Lazio ed è disponibile a mettermi subito in contatto con Verona, polo di eccellenza nel settore. Un’altra mi telefona spiegandomi che il San Raffaele di Milano ha tutto ciò che serve per affrontare un tumore al pancreas.
A Novembre 2017 opto per Verona, perché più facile, e decido di non stare con un piede in due scarpe. Mi fido e mi affido. Vado a Verona per fare la biopsia con ago aspirato, e il referto mi arriva via mail dopo due giorni: Adenocarcinoma duttale del pancreas del corpo coda. Eccola la diagnosi, ma io lo sapevo già. Quindi aver avuto la conferma via mail, non mi ha fatto alcuna differenza. Con la stessa email, il chirurgo di Verona mi consiglia di effettuare la chemioterapia neoadiuvante, per 2-3 mesi, per migliorare le condizioni in vista dell’operazione. A questo scopo mi consiglia di rivolgermi all’oncologo Michele Milella dell’IFO di Roma. In questa fase avevo un CA 19.9 di 1600.
Qual è stato il percorso di cura?
Inizio Dicembre 2017 ho un colloquio con l’oncologo Michelle Milella che mi consiglia di applicare il port-a-cath e, vista la storia di tumori in famiglia e la conferma che mia madre presenta la mutazione nativa BRCA2, mi consiglia di effettuare il test genetico.
Il 14 Dicembre 2017 mi ricoverano all’IFO, mi impiantano il port, mi fanno la PET e le analisi e il 16 Dicembre inizio il primo ciclo di Folfirinox. Pochissimi effetti collaterali, e pure piuttosto blandi.
Il 6 Gennaio 2018 ho un ictus. Non grave, ma un ictus. La neurologa del San Camillo, che mi visita al Pronto Soccorso e mi ricovera per 2-3 giorni, la bravissima Sabina Anticoli, mi dimette in tempo per andare all’IFO a fare il secondo ciclo di chemio. L’oncologo, Milella, però non si fida, e decide di farmi aspettare un po’. Riprendo poi a fare la chemio, sempre in ricovero, perché il farmaco oxaliplatino della tripletta del Folfirinox mi dà dei problemi e costringe ad iniettarlo molto lentamente, ad un ritmo non gestibile in Day Hospital.
Dopo qualche tempo per capire quando andare a Verona ad operarmi chiedo notizie all’oncologo sui tempi della chemio. Lui mi comunica un po’ bruscamente che la PET del 14 dicembre ha rilevato una metastasi al fegato. Conseguenza immediata: non rientro più nel novero dei pazienti operabili. Per la prima volta ho un vero sussulto. “E ora che si fa?” gli chiedo. Milella mi spiega che si va avanti con la chemio per alcuni mesi e poi c’è la prospettiva della sperimentazione POLO, poiché nel frattempo è arrivata pure la conferma della mia positività alla mutazione BRCA2. E solo recentemente ho saputo che alla vigilia della chemio il CA 19.9 aveva superato quota 6.000.
Il 30 Luglio 2018 concludo i 12 cicli di Folfirinox con pochi effetti collaterali ma, soprattutto, il Ca 19.9 è sceso a 33.7, la massa tumorale è nettamente diminuita e della metastasi non c’è più traccia da mesi.
A metà Agosto 2018 entro nella sperimentazione POLO, a doppio cieco di Fase III, che studia l’impatto del farmaco Olaparib su pazienti con mutazione nativa BRCA che hanno già utilizzato un farmaco a base di platino in prima linea. Milella mi spiega che questa sperimentazione ha l’obiettivo di verificare una potenziale terapia di mantenimento del tumore al pancreas e che comunque dopo 12 cicli di Folfirinox dovrei stare ferma per un po’ e vedere cosa accade. Quindi l’Olaparib oltre ad essere promettente sembra pensato su misura per soggetti come me e sembrava essere la cosa migliore che mi potesse capitare.
A metà Settembre 2018 Milella lascia l’IFO per trasferirsi a Verona. E io mi ritrovo a far riferimento a oncologi un po’ a caso. Ogni volta uno diverso. Dopo un paio di mesi mi rendo conto che qualcosa si sta muovendo, mi sono ricomparsi i dolori. Ne parlo con gli oncologi e mi dicono di non preoccuparmi. Scopro che nelle analisi di routine della sperimentazione non è previsto il monitoraggio del CA 19.9 e che loro non avevano proprio pensato di uscire dalla routine.
I primi di Dicembre 2018 decido per una visita con l’oncologo Michele Reni al S. Raffaele di Milano. Infatti, senza Milella, non ho nessuno di cui fidarmi e al quale affidarmi a Roma. Nel frattempo io mi sono fatta per mio conto l’analisi del marcatore, che al 28 Novembre era salito a 115. Il dottor Reni risponde a tutte le mie domande e soprattutto mi dice che devo fare subito nuovi marcatori, la TC e sospendere la sperimentazione che non sta funzionando. Scoprirò mesi dopo che non ha funzionato soprattutto perché ero finita nel braccio del