Chemioterapia PAXG

Chemioterapia: il protocollo PAXG

17 Novembre 2021 • Redazione

Il protocollo PAXG approvato dall’AIFA nel Gennaio 2020 ha ormai due anni di storia alle spalle e centinaia di pazienti che lo hanno utilizzato. Nonostante ciò c’è una certa confusione nella comunità dei pazienti sulle possibilità del suo utilizzo, le strategie di cure che si possono costruire attorno a questo protocollo. Tutto ciò è ragionevole per pazienti e familiari perché non si nasce ‘imparati’ sulle cure del tumore del pancreas. Quello che lascia perplessi è il comportamento di diversi oncologi  non considerano le opportunità messe a disposizione dal PAXG. Sembra di rivedere le stesse resistenze a non utilizzare la sola Gemcitabina quando sono arrivati i primi protocolli con combinazione di farmaci. Per questa ragione abbiamo chiesto al dott. Guido Giordano, oncologo del Policlinico di Foggia, di parlarci di questo nuovo protocollo e della sua esperienza clinica nel suo utilizzo quotidiano.

Partendo dalle linee guida AIOM quali sono oggi i protocolli chemioterapici di riferimento per la cura del tumore del pancreas

Lo scenario terapeutico per il tumore del pancreas negli ultimi anni ha subito modifiche, in tutti gli stadi di malattia, grazie all’avvento nella pratica clinica di nuovi schemi di trattamento. Alla luce delle evidenze scientifiche a nostra disposizione e suddividendo la patologia per i diversi contesti clinici, possiamo considerare:

Trattamento del tumore resecato: i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico radicale e con una buona condizione fisica possono giovarsi di una chemioterapia post intervento, per questo detta adiuvante. Gli schemi terapeutici che hanno raggiunto un adeguato livello di evidenza, tale da essere raccomandati dalle Linee Guida Nazionali ed Internazionali sono:

  1. FOLFIRINOX modificato, mFOLFIRINOX , adatto a pazienti ben selezionati in buona forma fisica con età inferiore ad 80 anni (tenendo in considerazione che, nello studio di Fase III PRODIGE 24 che ha portato alla validazione del protocollo, il beneficio del trattamento con tale schema era leggermente inferiore nel sottogruppo di pazienti con età maggiore/uguale a 70 anni );
  2. GEMCITABINA + CAPECITABINA, con un livello di evidenza inferiore rispetto allo schema FOLFIRINOX modificato, adatto a pazienti anche con una condizione fisica meno buona rispetto a quella del mFOLFIRINOX;
  3. MONOTERAPIA CON GEMCITABINA O FLUOROPIRIMIDINE, nei pazienti non idonei a ricevere un trattamento di combinazione.

A prescindere dal tipo di trattamento scelto, la chemioterapia adiuvante deve essere praticata per 6 mesi. In casi selezionati, può essere presa in considerazione, al termine del trattamento chemioterapico, l’aggiunta di una radioterapia (in concomitanza a chemioterapia). La capacità di completare l’intero ciclo di chemioterapia ha un potenziale impatto sulla sopravvivenza del paziente

Trattamento del tumore borderline resecabile e localmente avanzato: i pazienti con malattia potenzialmente operabile definita come “borderline resecabile” possono giovarsi di un trattamento chemioterapico iniziale, definito di “induzione” o neoadiuvante, utilizzando schemi a:

  1. 4 farmaci come PAXG o PEXG,
  2. 3 farmaci come il FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. 2 farmaci come la combinazione di Gemcitabina + nab-paclitaxel
  4. 1 farmaco come Gemcitabina in monoterapia,

in relazione alle condizioni generali, all’età, alle comorbidità ed al Performance Status. Dopo la chemio neooadiuvante, a seconda della risposta ottenuta, i pazienti potranno essere candidabili ad intervento chirurgico radicale – pazienti con risposta al trattamento, a chemioterapia sistemica – in caso di progressione sistemica – o a chemio-radioterapia – in caso di progressione locale. Un approccio chemioterapico, con gli stessi schemi citati per la malattia borderline resecabile, può essere indicato per il trattamento della malattia localmente avanzata non operabile, Stadio III.

Trattamento del tumore metatsatico: gli schemi raccomandati ed utilizzati per questa tipologia di pazienti sono:

  1. PAXG/PEXG,
  2. FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. Gemcitabina + Nab-Paclitaxel (Abraxane®),
  4. Gemcitabina in monoterapia.

La scelta terapeutica,soprattutto relativamente alla possibilità di impiegare schemi a 2, 3 o 4 farmaci, deve essere fatta considerando le caratteristiche del paziente: età, stato di forma fisica, comorbidità) e, non ultima, la presenza di mutazioni germinali nei geni BRCA1/ BRCA2. Infatti, tale condizione, rende i pazienti maggiormente sensibili a schemi di chemioterapia contenente sali di platino: PAXG, PEXG, FOLFIRINOX e, nei pazienti che dopo 4 mesi di trattamento con tali regimi raggiungono una stabilità di malattia o una risposta, rendono possibile in seconda linea l’impiego della molecola OLAPARIB come terapia di mantenimento.

Guido Giordano

Guido Giordano

Guido Giordano, Oncologo

Ci descriva il protocollo PAXG e le sue peculiarità

Il protocollo PAXG rappresenta una terapia di combinazione, basata sull’associazione di 4 farmaci. L’acronimo PAXG indica ciascuno dei farmaci che compongono tale schema e che, rispettivamente sono:

  1. P, Cisplatino,
  2. A, Abraxane (nab–paclitaxel),
  3. X, Capecitabina,
  4. G, Gemcitabina .

Tutti i farmaci vengono somministrati per via endovenosa ogni 15 giorni,  fatta eccezione della capecitabina che viene assunta per via orale, quotidianamente, suddivisa in 2 somministrazioni, in modo continuativo. Ciascun ciclo consiste in 2 somministrazioni, rispettivamente effettuate nei giorni 1 e 15 in cicli di 28 giorni. Quindi rispetto agli altri schemi ha una somministrazione in meno al mese, 2 invece delle classiche 3. Il PAXG viene somministrato, generalmente, per un tempo di 6 mesi, ma il trattamento può essere personalizzato (durata maggiore o minore) in relazione alle condizioni del paziente, alla risposta ottenuta ed alla tossicità riscontrata. Tale schema presenta, inoltre, il vantaggio di contenere un sale di platino, pertanto, si presenta adatto ai pazienti portatori di mutazioni dei geni BRCA e può essere attivato senza aspettare il risultato del test genetico, in alcuni contesti può prendere  tempi lunghi, senza pregiudicare l’utilizzo successivo di altre molecole. Infatti nel caso si decidesse di partire in prima linea con il FOLFIRINOX è bene essere consapevoli che  l’AIFA non consente il successivo utilizzo in seconda linea dell’Abraxane.

In quali condizioni lei utilizza il protocollo PAXG

PAXG è approvato per il trattamento dell’adenocarcinoma del pancreas borderline resecabile, localmente avanzato e metastatico. La mia esperienza è di circa 30 pazienti trattati dal Gennaio 2020, prevalentemente nel setting localmente avanzato e metastatico, solo 2 con malattia borderline resecabile. Si tratta, in tutti i casi di pazienti con età non superiore a 75 anni e con un stato di forma fisica abbastanza buono. Vorrei sottolineare come, seppur limitata nella numerosità, la mia esperienza sia associata a soli 2 casi di progressione di malattia dopo la prima rivalutazione strumentale, a testimonianza dell’attività e dell’efficacia di tale schema.

Quanto difficile è gestire la tossicità del PAXG

Contrariamente a quanto si possa immaginare, nonostante si tratti di uno schema a 4 farmaci, il profilo di tossicità non è così elevato. Le principali tossicità di grado 3 o superiore attese sono neutropenia, anemiasenso di fatica ed in minor misura neuropatia periferica, diarrea e nausea/vomito. La gestione delle tossicità non desta particolari problemi nella pratica clinica; infatti la profilassi antivomito tradizionale per schemi contenenti platino e l’ausilio dei fattori di crescita per gestire la neutropenia o l’anemia, insieme alla corretta educazione/informazione del paziente sulle possibili tossicità legate alla capecitabina, limita molto gli effetti collaterali. Inoltre, l’impiego routinario del test per la diidropirimidina deidrogenasi (DYPD) permette di identificare i pazienti portatori di alterazioni genetiche (polimorfismi) per il gene deputato al metabolismo della capecitabina, consentendo di adeguare il dosaggio del farmaco in caso di mutazioni.

È possibile utilizzare protocolli in seconda linea dopo aver utilizzato il PAXG in prima linea? Se si, quali. 

Nei pazienti che progrediscono ad un trattamento con PAXG e che conservano un adeguato Performance Status, è possibile immaginare anche linee di trattamento successivo. La valutazione della scelta terapeutica dipende da diversi fattori, tra cui il tempo intercorso dalla fine del trattamento con PAXG e la tossicità riscontrata durante tale trattamento, soprattutto in termini di neuropatia periferica. Infatti, nei pazienti con progrediti (che hanno avuto un miglioramento?) dopo un periodo maggiore/uguale a 3 mesi dalla fine del trattamento con PAXG, è possibile ipotizzare una reintroduzione dello stesso schema al fine di sfruttarne ancora le potenzialità. Al contrario, in caso di progressione durante o subito dopo il trattamento con PAXG è possibile impiegare schemi a base di:

  1. irinotecano, in associazione a fluoropirimidine endovenose o orali come il FOLFIRI o CAP-IRI.
  2. una combinazione di fluoropirimidine endovenose / orali ed oxaliplatino quali il FOLFOX o il CAP-OX, in caso di assenza di neuropatia periferica residua dopo PAXG, magari nei pazienti BRCA mutati per sfruttare l’eventuale azione del sale di platino.
  3. laddove non impotizzabile uno schema di combinazione, la fluoropirimidina o la gemcitabina in monoterapia potrebbero rappresentare una possibilità anche se con efficacia molto limitata.

Rimanendo sulla seconda linea. Possiamo pensare di utilizzare il FOLFIRINOX o la Gemcitabina+Abraxane o il PAXG come protocolli di seconda linea sulla base delle evidenze di sperimentazioni randomizzate di Fase III.

Attualmente non esistono evidenze derivanti da studi prospettici randomizzati sull’impiego di tali schemi in seconda linea. Le esperienze finora pubblicate derivano da studi retrospettivi o da piccole coorti di pazienti. Pertanto, non vi sono raccomandazioni sulla possibilità di adoperare tali protocolli in seconda linea. Nell’ambito della malattia metastatica, quindi, il loro utilizzo resta quello della prima linea.

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Chemioterapia PAXG

Chemioterapia: il protocollo PAXG

17 Novembre 2021 • Redazione

Il protocollo PAXG approvato dall’AIFA nel Gennaio 2020 ha ormai due anni di storia alle spalle e centinaia di pazienti che lo hanno utilizzato. Nonostante ciò c’è una certa confusione nella comunità dei pazienti sulle possibilità del suo utilizzo, le strategie di cure che si possono costruire attorno a questo protocollo. Tutto ciò è ragionevole per pazienti e familiari perché non si nasce ‘imparati’ sulle cure del tumore del pancreas. Quello che lascia perplessi è il comportamento di diversi oncologi  non considerano le opportunità messe a disposizione dal PAXG. Sembra di rivedere le stesse resistenze a non utilizzare la sola Gemcitabina quando sono arrivati i primi protocolli con combinazione di farmaci. Per questa ragione abbiamo chiesto al dott. Guido Giordano, oncologo del Policlinico di Foggia, di parlarci di questo nuovo protocollo e della sua esperienza clinica nel suo utilizzo quotidiano.

Partendo dalle linee guida AIOM quali sono oggi i protocolli chemioterapici di riferimento per la cura del tumore del pancreas

Lo scenario terapeutico per il tumore del pancreas negli ultimi anni ha subito modifiche, in tutti gli stadi di malattia, grazie all’avvento nella pratica clinica di nuovi schemi di trattamento. Alla luce delle evidenze scientifiche a nostra disposizione e suddividendo la patologia per i diversi contesti clinici, possiamo considerare:

Trattamento del tumore resecato: i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico radicale e con una buona condizione fisica possono giovarsi di una chemioterapia post intervento, per questo detta adiuvante. Gli schemi terapeutici che hanno raggiunto un adeguato livello di evidenza, tale da essere raccomandati dalle Linee Guida Nazionali ed Internazionali sono:

  1. FOLFIRINOX modificato, mFOLFIRINOX , adatto a pazienti ben selezionati in buona forma fisica con età inferiore ad 80 anni (tenendo in considerazione che, nello studio di Fase III PRODIGE 24 che ha portato alla validazione del protocollo, il beneficio del trattamento con tale schema era leggermente inferiore nel sottogruppo di pazienti con età maggiore/uguale a 70 anni );
  2. GEMCITABINA + CAPECITABINA, con un livello di evidenza inferiore rispetto allo schema FOLFIRINOX modificato, adatto a pazienti anche con una condizione fisica meno buona rispetto a quella del mFOLFIRINOX;
  3. MONOTERAPIA CON GEMCITABINA O FLUOROPIRIMIDINE, nei pazienti non idonei a ricevere un trattamento di combinazione.

A prescindere dal tipo di trattamento scelto, la chemioterapia adiuvante deve essere praticata per 6 mesi. In casi selezionati, può essere presa in considerazione, al termine del trattamento chemioterapico, l’aggiunta di una radioterapia (in concomitanza a chemioterapia). La capacità di completare l’intero ciclo di chemioterapia ha un potenziale impatto sulla sopravvivenza del paziente

Trattamento del tumore borderline resecabile e localmente avanzato: i pazienti con malattia potenzialmente operabile definita come “borderline resecabile” possono giovarsi di un trattamento chemioterapico iniziale, definito di “induzione” o neoadiuvante, utilizzando schemi a:

  1. 4 farmaci come PAXG o PEXG,
  2. 3 farmaci come il FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. 2 farmaci come la combinazione di Gemcitabina + nab-paclitaxel
  4. 1 farmaco come Gemcitabina in monoterapia,

in relazione alle condizioni generali, all’età, alle comorbidità ed al Performance Status. Dopo la chemio neooadiuvante, a seconda della risposta ottenuta, i pazienti potranno essere candidabili ad intervento chirurgico radicale – pazienti con risposta al trattamento, a chemioterapia sistemica – in caso di progressione sistemica – o a chemio-radioterapia – in caso di progressione locale. Un approccio chemioterapico, con gli stessi schemi citati per la malattia borderline resecabile, può essere indicato per il trattamento della malattia localmente avanzata non operabile, Stadio III.

Trattamento del tumore metatsatico: gli schemi raccomandati ed utilizzati per questa tipologia di pazienti sono:

  1. PAXG/PEXG,
  2. FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. Gemcitabina + Nab-Paclitaxel (Abraxane®),
  4. Gemcitabina in monoterapia.

La scelta terapeutica,soprattutto relativamente alla possibilità di impiegare schemi a 2, 3 o 4 farmaci, deve essere fatta considerando le caratteristiche del paziente: età, stato di forma fisica, comorbidità) e, non ultima, la presenza di mutazioni germinali nei geni BRCA1/ BRCA2. Infatti, tale condizione, rende i pazienti maggiormente sensibili a schemi di chemioterapia contenente sali di platino: PAXG, PEXG, FOLFIRINOX e, nei pazienti che dopo 4 mesi di trattamento con tali regimi raggiungono una stabilità di malattia o una risposta, rendono possibile in seconda linea l’impiego della molecola OLAPARIB come terapia di mantenimento.

Guido Giordano

Guido Giordano

Guido Giordano, Oncologo

Ci descriva il protocollo PAXG e le sue peculiarità

Il protocollo PAXG rappresenta una terapia di combinazione, basata sull’associazione di 4 farmaci. L’acronimo PAXG indica ciascuno dei farmaci che compongono tale schema e che, rispettivamente sono:

  1. P, Cisplatino,
  2. A, Abraxane (nab–paclitaxel),
  3. X, Capecitabina,
  4. G, Gemcitabina .

Tutti i farmaci vengono somministrati per via endovenosa ogni 15 giorni,  fatta eccezione della capecitabina che viene assunta per via orale, quotidianamente, suddivisa in 2 somministrazioni, in modo continuativo. Ciascun ciclo consiste in 2 somministrazioni, rispettivamente effettuate nei giorni 1 e 15 in cicli di 28 giorni. Quindi rispetto agli altri schemi ha una somministrazione in meno al mese, 2 invece delle classiche 3. Il PAXG viene somministrato, generalmente, per un tempo di 6 mesi, ma il trattamento può essere personalizzato (durata maggiore o minore) in relazione alle condizioni del paziente, alla risposta ottenuta ed alla tossicità riscontrata. Tale schema presenta, inoltre, il vantaggio di contenere un sale di platino, pertanto, si presenta adatto ai pazienti portatori di mutazioni dei geni BRCA e può essere attivato senza aspettare il risultato del test genetico, in alcuni contesti può prendere  tempi lunghi, senza pregiudicare l’utilizzo successivo di altre molecole. Infatti nel caso si decidesse di partire in prima linea con il FOLFIRINOX è bene essere consapevoli che  l’AIFA non consente il successivo utilizzo in seconda linea dell’Abraxane.

In quali condizioni lei utilizza il protocollo PAXG

PAXG è approvato per il trattamento dell’adenocarcinoma del pancreas borderline resecabile, localmente avanzato e metastatico. La mia esperienza è di circa 30 pazienti trattati dal Gennaio 2020, prevalentemente nel setting localmente avanzato e metastatico, solo 2 con malattia borderline resecabile. Si tratta, in tutti i casi di pazienti con età non superiore a 75 anni e con un stato di forma fisica abbastanza buono. Vorrei sottolineare come, seppur limitata nella numerosità, la mia esperienza sia associata a soli 2 casi di progressione di malattia dopo la prima rivalutazione strumentale, a testimonianza dell’attività e dell’efficacia di tale schema.

Quanto difficile è gestire la tossicità del PAXG

Contrariamente a quanto si possa immaginare, nonostante si tratti di uno schema a 4 farmaci, il profilo di tossicità non è così elevato. Le principali tossicità di grado 3 o superiore attese sono neutropenia, anemia, senso di fatica ed in minor misura neuropatia periferica, diarrea e nausea/vomito. La gestione delle tossicità non desta particolari problemi nella pratica clinica; infatti la profilassi antivomito tradizionale per schemi contenenti platino e l’ausilio dei fattori di crescita per gestire la neutropenia o l’anemia, insieme alla corretta educazione/informazione del paziente sulle possibili tossicità legate alla capecitabina, limita molto gli effetti collaterali. Inoltre, l’impiego routinario del test per la diidropirimidina deidrogenasi (DYPD) permette di identificare i pazienti portatori di alterazioni genetiche (polimorfismi) per il gene deputato al metabolismo della capecitabina, consentendo di adeguare il dosaggio del farmaco in caso di mutazioni.

È possibile utilizzare protocolli in seconda linea dopo aver utilizzato il PAXG in prima linea? Se si, quali. 

Nei pazienti che progrediscono ad un trattamento con PAXG e che conservano un adeguato Performance Status, è possibile immaginare anche linee di trattamento successivo. La valutazione della scelta terapeutica dipende da diversi fattori, tra cui il tempo intercorso dalla fine del trattamento con PAXG e la tossicità riscontrata durante tale trattamento, soprattutto in termini di neuropatia periferica. Infatti, nei pazienti con progrediti (che hanno avuto un miglioramento?) dopo un periodo maggiore/uguale a 3 mesi dalla fine del trattamento con PAXG, è possibile ipotizzare una reintroduzione dello stesso schema al fine di sfruttarne ancora le potenzialità. Al contrario, in caso di progressione durante o subito dopo il trattamento con PAXG è possibile impiegare schemi a base di:

  1. irinotecano, in associazione a fluoropirimidine endovenose o orali come il FOLFIRI o CAP-IRI.
  2. una combinazione di fluoropirimidine endovenose / orali ed oxaliplatino quali il FOLFOX o il CAP-OX, in caso di assenza di neuropatia periferica residua dopo PAXG, magari nei pazienti BRCA mutati per sfruttare l’eventuale azione del sale di platino.
  3. laddove non impotizzabile uno schema di combinazione, la fluoropirimidina o la gemcitabina in monoterapia potrebbero rappresentare una possibilità anche se con efficacia molto limitata.

Rimanendo sulla seconda linea. Possiamo pensare di utilizzare il FOLFIRINOX o la Gemcitabina+Abraxane o il PAXG come protocolli di seconda linea sulla base delle evidenze di sperimentazioni randomizzate di Fase III.

Attualmente non esistono evidenze derivanti da studi prospettici randomizzati sull’impiego di tali schemi in seconda linea. Le esperienze finora pubblicate derivano da studi retrospettivi o da piccole coorti di pazienti. Pertanto, non vi sono raccomandazioni sulla possibilità di adoperare tali protocolli in seconda linea. Nell’ambito della malattia metastatica, quindi, il loro utilizzo resta quello della prima linea.

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Chemioterapia PAXG

Chemioterapia: il protocollo PAXG

17 Novembre 2021 • Redazione

Il protocollo PAXG approvato dall’AIFA nel Gennaio 2020 ha ormai due anni di storia alle spalle e centinaia di pazienti che lo hanno utilizzato. Nonostante ciò c’è una certa confusione nella comunità dei pazienti sulle possibilità del suo utilizzo, le strategie di cure che si possono costruire attorno a questo protocollo. Tutto ciò è ragionevole per pazienti e familiari perché non si nasce ‘imparati’ sulle cure del tumore del pancreas. Quello che lascia perplessi è il comportamento di diversi oncologi  non considerano le opportunità messe a disposizione dal PAXG. Sembra di rivedere le stesse resistenze a non utilizzare la sola Gemcitabina quando sono arrivati i primi protocolli con combinazione di farmaci. Per questa ragione abbiamo chiesto al dott. Guido Giordano, oncologo del Policlinico di Foggia, di parlarci di questo nuovo protocollo e della sua esperienza clinica nel suo utilizzo quotidiano.

Partendo dalle linee guida AIOM quali sono oggi i protocolli chemioterapici di riferimento per la cura del tumore del pancreas

Lo scenario terapeutico per il tumore del pancreas negli ultimi anni ha subito modifiche, in tutti gli stadi di malattia, grazie all’avvento nella pratica clinica di nuovi schemi di trattamento. Alla luce delle evidenze scientifiche a nostra disposizione e suddividendo la patologia per i diversi contesti clinici, possiamo considerare:

Trattamento del tumore resecato: i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico radicale e con una buona condizione fisica possono giovarsi di una chemioterapia post intervento, per questo detta adiuvante. Gli schemi terapeutici che hanno raggiunto un adeguato livello di evidenza, tale da essere raccomandati dalle Linee Guida Nazionali ed Internazionali sono:

  1. FOLFIRINOX modificato, mFOLFIRINOX , adatto a pazienti ben selezionati in buona forma fisica con età inferiore ad 80 anni (tenendo in considerazione che, nello studio di Fase III PRODIGE 24 che ha portato alla validazione del protocollo, il beneficio del trattamento con tale schema era leggermente inferiore nel sottogruppo di pazienti con età maggiore/uguale a 70 anni );
  2. GEMCITABINA + CAPECITABINA, con un livello di evidenza inferiore rispetto allo schema FOLFIRINOX modificato, adatto a pazienti anche con una condizione fisica meno buona rispetto a quella del mFOLFIRINOX;
  3. MONOTERAPIA CON GEMCITABINA O FLUOROPIRIMIDINE, nei pazienti non idonei a ricevere un trattamento di combinazione.

A prescindere dal tipo di trattamento scelto, la chemioterapia adiuvante deve essere praticata per 6 mesi. In casi selezionati, può essere presa in considerazione, al termine del trattamento chemioterapico, l’aggiunta di una radioterapia (in concomitanza a chemioterapia). La capacità di completare l’intero ciclo di chemioterapia ha un potenziale impatto sulla sopravvivenza del paziente

Trattamento del tumore borderline resecabile e localmente avanzato: i pazienti con malattia potenzialmente operabile definita come “borderline resecabile” possono giovarsi di un trattamento chemioterapico iniziale, definito di “induzione” o neoadiuvante, utilizzando schemi a:

  1. 4 farmaci come PAXG o PEXG,
  2. 3 farmaci come il FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. 2 farmaci come la combinazione di Gemcitabina + nab-paclitaxel
  4. 1 farmaco come Gemcitabina in monoterapia,

in relazione alle condizioni generali, all’età, alle comorbidità ed al Performance Status. Dopo la chemio neooadiuvante, a seconda della risposta ottenuta, i pazienti potranno essere candidabili ad intervento chirurgico radicale – pazienti con risposta al trattamento, a chemioterapia sistemica – in caso di progressione sistemica – o a chemio-radioterapia – in caso di progressione locale. Un approccio chemioterapico, con gli stessi schemi citati per la malattia borderline resecabile, può essere indicato per il trattamento della malattia localmente avanzata non operabile, Stadio III.

Trattamento del tumore metatsatico: gli schemi raccomandati ed utilizzati per questa tipologia di pazienti sono:

  1. PAXG/PEXG,
  2. FOLFIRINOX, standard o modificato,
  3. Gemcitabina + Nab-Paclitaxel (Abraxane®),
  4. Gemcitabina in monoterapia.

La scelta terapeutica,soprattutto relativamente alla possibilità di impiegare schemi a 2, 3 o 4 farmaci, deve essere fatta considerando le caratteristiche del paziente: età, stato di forma fisica, comorbidità) e, non ultima, la presenza di mutazioni germinali nei geni BRCA1/ BRCA2. Infatti, tale condizione, rende i pazienti maggiormente sensibili a schemi di chemioterapia contenente sali di platino: PAXG, PEXG, FOLFIRINOX e, nei pazienti che dopo 4 mesi di trattamento con tali regimi raggiungono una stabilità di malattia o una risposta, rendono possibile in seconda linea l’impiego della molecola OLAPARIB come terapia di mantenimento.

Guido Giordano

Guido Giordano

Guido Giordano, Oncologo

Ci descriva il protocollo PAXG e le sue peculiarità

Il protocollo PAXG rappresenta una terapia di combinazione, basata sull’associazione di 4 farmaci. L’acronimo PAXG indica ciascuno dei farmaci che compongono tale schema e che, rispettivamente sono:

  1. P, Cisplatino,
  2. A, Abraxane (nab–paclitaxel),
  3. X, Capecitabina,
  4. G, Gemcitabina .

Tutti i farmaci vengono somministrati per via endovenosa ogni 15 giorni,  fatta eccezione della capecitabina che viene assunta per via orale, quotidianamente, suddivisa in 2 somministrazioni, in modo continuativo. Ciascun ciclo consiste in 2 somministrazioni, rispettivamente effettuate nei giorni 1 e 15 in cicli di 28 giorni. Quindi rispetto agli altri schemi ha una somministrazione in meno al mese, 2 invece delle classiche 3. Il PAXG viene somministrato, generalmente, per un tempo di 6 mesi, ma il trattamento può essere personalizzato (durata maggiore o minore) in relazione alle condizioni del paziente, alla risposta ottenuta ed alla tossicità riscontrata. Tale schema presenta, inoltre, il vantaggio di contenere un sale di platino, pertanto, si presenta adatto ai pazienti portatori di mutazioni dei geni BRCA e può essere attivato senza aspettare il risultato del test genetico, in alcuni contesti può prendere  tempi lunghi, senza pregiudicare l’utilizzo successivo di altre molecole. Infatti nel caso si decidesse di partire in prima linea con il FOLFIRINOX è bene essere consapevoli che  l’AIFA non consente il successivo utilizzo in seconda linea dell’Abraxane.

In quali condizioni lei utilizza il protocollo PAXG

PAXG è approvato per il trattamento dell’adenocarcinoma del pancreas borderline resecabile, localmente avanzato e metastatico. La mia esperienza è di circa 30 pazienti trattati dal Gennaio 2020, prevalentemente nel setting localmente avanzato e metastatico, solo 2 con malattia borderline resecabile. Si tratta, in tutti i casi di pazienti con età non superiore a 75 anni e con un stato di forma fisica abbastanza buono. Vorrei sottolineare come, seppur limitata nella numerosità, la mia esperienza sia associata a soli 2 casi di progressione di malattia dopo la prima rivalutazione strumentale, a testimonianza dell’attività e dell’efficacia di tale schema.

Quanto difficile è gestire la tossicità del PAXG

Contrariamente a quanto si possa immaginare, nonostante si tratti di uno schema a 4 farmaci, il profilo di tossicità non è così elevato. Le principali tossicità di grado 3 o superiore attese sono neutropenia, anemia, senso di fatica ed in minor misura neuropatia periferica, diarrea e nausea/vomito. La gestione delle tossicità non desta particolari problemi nella pratica clinica; infatti la profilassi antivomito tradizionale per schemi contenenti platino e l’ausilio dei fattori di crescita per gestire la neutropenia o l’anemia, insieme alla corretta educazione/informazione del paziente sulle possibili tossicità legate alla capecitabina, limita molto gli effetti collaterali. Inoltre, l’impiego routinario del test per la diidropirimidina deidrogenasi (DYPD) permette di identificare i pazienti portatori di alterazioni genetiche (polimorfismi) per il gene deputato al metabolismo della capecitabina, consentendo di adeguare il dosaggio del farmaco in caso di mutazioni.

È possibile utilizzare protocolli in seconda linea dopo aver utilizzato il PAXG in prima linea? Se si, quali. 

Nei pazienti che progrediscono ad un trattamento con PAXG e che conservano un adeguato Performance Status, è possibile immaginare anche linee di trattamento successivo. La valutazione della scelta terapeutica dipende da diversi fattori, tra cui il tempo intercorso dalla fine del trattamento con PAXG e la tossicità riscontrata durante tale trattamento, soprattutto in termini di neuropatia periferica. Infatti, nei pazienti con progrediti (che hanno avuto un miglioramento?) dopo un periodo maggiore/uguale a 3 mesi dalla fine del trattamento con PAXG, è possibile ipotizzare una reintroduzione dello stesso schema al fine di sfruttarne ancora le potenzialità. Al contrario, in caso di progressione durante o subito dopo il trattamento con PAXG è possibile impiegare schemi a base di:

  1. irinotecano, in associazione a fluoropirimidine endovenose o orali come il FOLFIRI o CAP-IRI.
  2. una combinazione di fluoropirimidine endovenose / orali ed oxaliplatino quali il FOLFOX o il CAP-OX, in caso di assenza di neuropatia periferica residua dopo PAXG, magari nei pazienti BRCA mutati per sfruttare l’eventuale azione del sale di platino.
  3. laddove non impotizzabile uno schema di combinazione, la fluoropirimidina o la gemcitabina in monoterapia potrebbero rappresentare una possibilità anche se con efficacia molto limitata.

Rimanendo sulla seconda linea. Possiamo pensare di utilizzare il FOLFIRINOX o la Gemcitabina+Abraxane o il PAXG come protocolli di seconda linea sulla base delle evidenze di sperimentazioni randomizzate di Fase III.

Attualmente non esistono evidenze derivanti da studi prospettici randomizzati sull’impiego di tali schemi in seconda linea. Le esperienze finora pubblicate derivano da studi retrospettivi o da piccole coorti di pazienti. Pertanto, non vi sono raccomandazioni sulla possibilità di adoperare tali protocolli in seconda linea. Nell’ambito della malattia metastatica, quindi, il loro utilizzo resta quello della prima linea.

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