Andrea Spinelli a spasso per i Pirenei

Camminare convivendo con un tumore al pancreas

13 Febbraio 2018 • Redazione

Andrea Spinelli, 44 anni, da più di quattro anni convive con un tumore al pancreas non operabile. Tutte le innumerevoli difficoltà creategli da questa complessa patologia non gli hanno precluso il progetto di attraversare l’Italia e l’Europa  a piedi. Il suo motto: Buona Vita a Tutti!

Come hai scoperto di avere un tumore al pancreas

17 Ottobre 2013 un amico mi fa notare il colore giallo dei miei occhi. La stessa notte mi sono venuti dei forti dolori all’addome e il mattino alle 3 decido di andare al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pordenone.

Era il 17 ottobre, sempre del 2013, tardo pomeriggio; stavo fumando una sigaretta del mio secondo pacchetto, parlavo del più e del meno con un amico, quando a un tratto mi ha fatto notare, «Sai Spino – gli amici mi chiamano con questo soprannome – hai gli occhi gialli». Al momento non ho dato tanto peso alla cosa e ho risposto con un «magari domani farò un salto dalla dottoressa per farmi prescrivere gli esami del sangue, forse è la stanchezza, il troppo esercizio fisico o che ne so», e tra le risate, ho terminato la chiacchierata ed anche quell’ennesima sigaretta.

Quella notte però dei dolori lancinanti mi hanno fatto spaventare. Mia moglie preoccupata mi ha consigliato che forse era il caso di andare al pronto soccorso, ma la mia testa più dura del dolore mi ha fatto aspettare, passerà ho pensato.

Non passava. Alle tre del mattino presi la macchina e feci un salto al pronto soccorso. Il tempo della strada, da casa mia l’ospedale civile di Pordenone dista solo una quindicina di chilometri e parcheggiai proprio fuori, c’erano tanti posti auto, suonai il campanello delle urgenze. Entrato in codice verde, dopo l’accettazione e le prime domande, la consueta anamnesi, feci il primo esame, quello che volevo farmi prescrivere dalla mia dottoressa: il prelievo del sangue. Passata un’oretta, nel frattempo mi fu dato anche un calmante per i dolori, forse della morfina, il dottore mi disse «Spinelli la dobbiamo ricoverare urgentemente».

Qual è stata la diagnosi

Sono rimasto 10 giorni in ospedale per accertamenti  durante i quali ho fatto una Ecoendoscopia, una Colangio Risonanza Magnetica e una TAC all’addome al temine dei quali mi è stato diagnosticato un adenocarcinoma alla testa del pancreas.

Ho mandato un messaggio a mia moglie spiegandole il da farsi e raccomandandole di non preoccuparsi più di tanto: «Ho dei valori un po’ sballati nel sangue, credo; devono ricoverami per sottopormi ad altri esami. Se puoi con calma prima di iniziare a lavorare, passa e portami dentifricio e spazzolino. Ok, baci».

Mi hanno dato un letto in una stanza del pronto soccorso, accanto a me un uomo anziano stava riposando, mi sono spogliato e rilassato; ricordo di essermi fatto stupidamente anche un selfie per immortalare il momento, io in un letto di ospedale, mai in 40 anni. Sono rimasto ricoverato al pronto soccorso nel reparto di degenza breve internistica e sottoposto a molti esami, mi hanno girato e rigirato come un calzino, ma la cosa che più mi ha colpito di questo mio primo ricovero è stata la gentilezza, le parole a volte sussurrate delle infermiere, degli infermieri e del dottore, una strana gentilezza. «Che fortuna», ho pensato.

Passati un paio di giorni, mi hanno comunicato che sarei stato dimesso dal pronto soccorso perché mi avevano trovato una sistemazione in un altro reparto; sono stato accompagnato al secondo piano del Padiglione A nel reparto di Chirurgia 1 dove mi hanno assegnato una stanza.

Il codice era diventato urgente, questa volta non c’erano altri pazienti, una stanza in fondo al corridoio con bagno personale e questa volta ho pensato «caspita che culo». La mia degenza in questo reparto è stata di circa dieci giorni durante i quali, oltre ad essere sempre girato e rigirato come il famoso calzino, ho fatto molti esami tra cui un’Ecoendoscopia, una Colangio Risonanza Magnetica e una TAC all’addome; ho percepito di stare poco bene, o meglio di avere qualcosa che non andava, con il passare dei giorni e non perché ho visto dal personale infermieristico maggiori attenzioni nei miei confronti, ma perché mi sono reso conto di sostenere troppi esami, uno dietro all’altro e di scorgere nei volti dei medici che passavano per il giro visite un’espressione diversa che andava oltre i classici quesiti, «come si sente? Dolori? Dorme?».

Cercavano di suscitare in me forse una domanda cui dare subito una risposta. Volevano dirmi qualcosa, ma non erano sicuri. C’era una gran confusione nella mia testa. Ed io pensavo, non dormivo, facevo ricerche in Internet; mi sono fatto portare apposta da mia moglie tutti gli ausili tecnologici che avevo: Ipad, computer portatile, modem e un piccolo televisore, in tutte queste diavolerie cercavo aiuto, cercavo risposte, le avevo trovate, ma non volevo sapere che erano vere, avevo paura.

A fine ottobre, una mattina all’improvviso, sono stato spostato di stanza, anzi mi ricordo bene, ero andato al bagno e tornato nella mia suite ho trovato la roba personale sul letto: non mi ero sbagliato quando nel corridoio avevo intravisto un infermiere che spostava il mio comodino in un’altra stanza, con la mia roba sopra, i miei libri e i miei giornali.

Mi sono arrabbiato, ho alzato la voce, un piccolo battibecco, non aveva assolutamente colpa lui, ero io a essere nervoso più del solito, ma poi sono andato nel mio nuovo letto, nella mia nuova stanza, questa volta con un altro paziente. «Fine della pacchia» ho pensato; il mio compagno di stanza doveva essere operato per un problema di respirazione, niente di grave, ma subito mi sono sentito come sollevato, forse allora anch’io non ero così grave.

Chissà perchè alla sistemazione in camera singola avevo associato uno stadio di malattia più avanzato e, se pure mi era gradita per la maggiore libertà di cui godevo, aveva cominciato anche a preoccuparmi.

Andrea Spinelli a San Juan de Ortega Burgos

Come ti è stata comunicata la diagnosi

In questi dieci giorni non avevo fatto altro che pensare e fare ricerche su internet, avevo pensato e due più due faceva quattro, così ho giocato di anticipo: «Dottore mi scusi, ma ho il cancro?» «Purtroppo sì, mi spiace» è stata la sua risposta.

Nella mattinata i dottori facevano il giro visite, quel giorno è venuto il primario dicendomi «sa, domani la dimetteremo, ma dopo devo parlarle è importante». Eh no, a un tratto mi è venuto spontaneo, sarà stato perché non ero più in una stanza da solo, sarà stata la parola dimissioni; mi sono fatto coraggio, in questi dieci giorni non avevo fatto altro che pensare e fare ricerche su internet, avevo pensato e due più due faceva quattro, così ho giocato di anticipo: «dottore mi scusi, ma ho il cancro?» «purtroppo sì, mi spiace» è stata la sua risposta.

Il giorno dopo, l’ultimo di ottobre, nel primo pomeriggio, sono andato a casa, sicuro di aver sentito le parole più allucinanti della mia vita. Naturalmente la mia dimissione dall’ospedale precedeva un’importante operazione, quella cui si riferiva il primario nel dire «dopo le devo parlare». Sono andato a casa ancora in attesa di operazione, con ancora il mio ittero ostruttivo e con qualcosina in più, ma in discrete condizioni, così era riportato sul verbale di dimissione. Dimesso sì, perché, in effetti, c’era poco da fare, così sdraiato su di un letto di ospedale, dovevo fare quell’operazione al più presto e mi lasciarono qualche giorno per decidere in tranquillità; dovevo sapere bene a cosa andavo incontro.

Qual è stato il percorso di cura

Il 12 Novembre 2013 è stato programmato un intervento di resezione del tumore alla testa del pancreas. Durante la fase iniziale dell’intervento è stata scoperta una infiltrazione nell’arteria  me